martedì 6 novembre 2007

in ritardo, ma vi spiegherò perchè....

e così tornai all'ovile, davvero sono scomparsa per un po' ma non è stato di proposito.... cosa mi distrae.... un libro, davvero avvolgente... un po' di quotidianità.... un po' di calma.... un po' di vita mondana nella settimana della cultura e della lingua italiana nel mondo (james senese.........)....

ed eccovi un racconto che era rimasto in sospeso.....

11 ottobre

E manca ancora una provincia da descrivere, di quelle ancora dei viaggi di fine settembre...

Destinazione: Caxito e l’escursione dovrebbe essere un po’ piú intrigante. Si prospetta una visita sul campo di veri e propri punti d’acqua.

Partiamo piú tardi visto la distanza é un terzo del giorno precedente, ma ovviamente rimaniamo completamente imbottigliati giá fuori dal portone di casa e quindi mille e mille telefonate di scuse che saremmo arrivati tardi.

Andiamo verso nord questa volta, direzione del Nosso Super il supermercato dove si fa sempre la spesa, attarversiamo per l’ennesima volta il Boa Vista. Il quartiere peggiore di Luanda. Devo avervelo giá raccontato. Vere e proprie favelas di materiali improvvisati, legno, lamiere e chissá cos’altro, arroccati su un pendio di argilla che periodicamente scivola giú portandosi dietro una parte del quartiere, file interminabili di donne con bacinelle in strada ad aspettare il camion cisterna pieno d’acqua che gliene venda un po’, bambini che giocano e sguazzano in pozze che definirle pozzanghere sarebbe davvero eufemistico...

E ci si chiede perché neanche l’occhio della cooperazione internazionale abbia il coraggio di levare una voce comune per risolvere questa situazione. Ma nel frattempo restringono la baia con avanzati sistemi di pompaggio di sabbia dal fondo baia per creare un allargamento della penisola.

Si prosegue, a passo d’uomo usciamo verso il Dande, il fiume dove si trova una delle stazioni di pompaggio dell’acqua che viene distribuita alle cittá. Di colpo la vegetazione si infittisce, diventa praticamente forseta tropicale. Verde smeraldo, piante enormi e folte.

E cosí via verso Caxito. Attraversiamo anche una zona dove le piogge hanno distrutto talmente tanto che ci sono ancora pezzi di case in mare, zona dove c’é stata una delle battaglie piú cruente della guerra civile.

Arriviamo finalmente a Caxito. Cittadina normale, piccolina, un po’ tutta sistemata lungo una strada unica, un po’ come accade nei paesini della provincia italiana, precisamente abruzzesi.

Preleviamo l’esperto dell’ufficio provinciale che si occupa dei progetti di acqua. Zoppo. Non capisco se sia poliomielite o cosa, ma l’effetto é che saltelli su una gamba. Ci accompagna lui nell’escursione nei villaggi spersi nel mato (nda foresta). E giá mi incuriosisco, e mi rendo conto che le deficienze fisiche si definiscono tali solo quando lo sono mentali a priori. Non si ferma davanti a nulla, entra e esce dalla macchina alta, si inerpica su sentierini scivolosi di fango che avevo paura io di cadere..... viva la forza dell’essere umano.

Altri ottanta km ci portano a Chesso, municipio della provincia del Bengo. La strada é in via di rifacimento ma é in ottime condizioni, e incontriamo anche i famosi cinesi al lavoro, efficientissimi... Si chiacchierava del fatto che si crede non siano bene integrati nella societá, che a volte non vogliano neanche imparare il portoghese.... finché superando un rullo compattatore di asfalto con davanti una macchina che si era fermato non sentiamo il chinaman inveira “Eeee cota, rapido!!” che non é portoghese ma per la precisione calão, ossia lo slang angolano del portoghese. La e viene usata come intercalare, o come enfatizzante, mentre cota é una espressione per dire «vecchio mio».... sconvolgente....

Passiamo un tratto con del brecciolino. E tornati su una specie di asfalto un nuovo e poco simpatico rumore ci accompagna nella marcia. Pssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssss. Abbiamo bucato. Beh non resta che adare avanti sperando che non si sgonfi completamente prima del prossimo villaggio dove fermarci e cambiare la ruota.

Ad un certo punto della strada, dopo aver passato diversi agglomerati di casette di fango e di argilla, il simpatico geremias ci fa segno di fermarci. Esattamente un agglomerato di case di fango e argilla. Bimbi in mutande con occhi che sciolgono anche il piú duro dei cuori di marmo, probabilmente non ci riescono con quelli barbour impermeabilizzati come li chiamerebbe mio padre, ma tanto ne avranno da perderci solo loro.

Non facciamo in tempo a scendere dalla macchina che già sono in due ad aiutarci. Uno il figlio del Soba che sarebbe la figura del capo-villaggio, il saggio, e l’altro invece un ragazzo/signore… qui non è così facile capire l’età delle persone.

In un attimo ci cambia la ruota e poi con loro, e circondati dai bimbi incuriositi e attratti dalla macchina fotografica, andiamo a fare un giro nei dintorni delle case.

Ci portano a vedere da dove prendono l’acqua da bere, per cucinare, per lavarsi, insomma per tutto.

Una pozzanghera.

Una fossa nel terreno dove per umidità si accumula l’acqua.

Torbida.

In Italia la chiameremmo fango.

Non la fanno neanche bollire e così ti spieghi i pancini gonfi di questi bimbi.

Ci mostrano la cisterna che faceva da serbatoio per gravità alle fontane comunitarie, diventata praticamente una discarica.

La differenza dell’animo contadino, di quell’animo ancora legato alla natura (e lì sì che è natura selvaggia e incontaminata anche se a volte minata) disponibile immediatamente a lavorare senza alcun tipo di ricompensa comprendendo fino in fondo che è un bene della comunità avere acqua minimamente in condizioni per essere bevuta. Avrebbero iniziato a lavorare subito.

In città, o meglio nelle periferie, ti rispondono “è lo stato che fa questo progetto, è lo stato che deve risolversi i problemi” e vanno sempre alla ricerca del guadagno, possibilmente monetario sonante.

È triste ma secondo me mette in evidenza palesemente che il nostro equilibrio era lì, dove facevamo parte della catena alimentare del pianeta terra predatori e predati, dove e quando la natura era la nostra risorsa e dipendevamo da lei e non uomini che diventano la risorsa di altri uomini, sfruttati come batterie….

Dove una stretta di mano valeva più di mille pezzi di carta, e l’animo era ancora importante….

Potrei andare avanti all’infinito, ma mi fermo qui, so che alla fine sapete esattamente come la penso, certo che qui questa consapevolezza diventa sempre più forte e più una forza per andare avanti…

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